Mosè. Realtà o finzione?

Entrati in Egitto come conquistatori

 

Esiste una serie di confuse tradizioni sui popoli che abitavano la Palestina nell’età del Bronzo, conosciuta allora come Canaan. Descrivono una realtà divisa tra gli abitanti sedentari delle città-stato ed i nomadi delle montagne, gli “Shasu”, sottomessi per oltre un millennio (3.700- 2.600 a.C.) all’autorità dell’impero akkadico[1] fondato da re Sargon-Melchisedek.

A partire dal 2.600 a.C. orde di nomadi provenienti dai monti Zagros si riversarono a più riprese in Mesopotamia e determinarono il collasso dell’impero sargonide. I nomadi erano sottoposti al comando di caste militari di ceppo indo-iranico (elites, Sabei), di madrelingua diversa dalla loro, destinate a dominare la Mesopotamia e Canaan per i 200 anni successivi.

In quel momento si assistette ad un fenomeno destinato a ripetersi oltre 2.000 anni più tardi con la conquista romana della Grecia. La cultura del popolo conquistato finì col sopraffare la cultura del popolo conquistatore, impregnando le elites di folclore e miti accadici: ad esempio l’uso simbolico del labris (ascia bipenne) e del titolo di “Melchisedek” restarono ad indicare la regalità. La tradizione riferisce addirittura di un’organizzazione detta “Ordine di Melchisedek” al vertice delle elites.

In seguito alla rivolta del re di Uruk, Utukhegal, nel 2.400 a.C., le elites furono deposte per oltre 700 anni, ed alcuni dei loro membri fuggirono verso la Grecia e il mar Mediterraneo, in special modo verso la Sardegna, dove posero le basi per la civiltà nuragica. Le nuove culture innescate dalle elites indo-iraniche nel “mare nostrum” sono oggi comunemente note come “Popoli del Mare”.

Altri gruppi elitari si rifugiarono sui monti del tavolato cisgiordano, mettendosi a capo degli Shasu. Il patriarca biblico Abramo fu uno Shasu dell’epoca pre-elitaria, entrato nelle grazie di Sargon stesso dopo aver combattuto e vinto per lui una coalizione di re venuti da Oriente (Genesi 14).

In seguito allo scontro coi re d’Oriente, Abramo entrò in Egitto con la moglie Sara, un evento a cui si fa accenno nella Genesi (12:10-20) ma che si descrive in termini più ampi in altre saghe[2]. Abramo riuscì a conquistarsi la simpatia del faraone e ad ottenere una terra in Egitto per la sua discendenza. Ora, i sostenitori della datazione antica per Sargon (vedi nota 1) tendono ad identificare il figlio (o nipote) Naram Sin col primo faraone Narmer, cosa che spiegherebbe la confidenza di Abramo nei confronti di quest’ultimo.

In ultima analisi si tratta di congetture non verificabili, ma darebbero una motivazione per l’ingresso violento di gruppi di Shasu in Egitto nel 1700 a.C., che rivendicarono il possesso del Delta del Nilo e vi costruirono una capitale, Avaris. Meglio noti come Hyksos, furono battuti e ridotti a schiavitù dal faraone Kamose intorno al 1550 a.C., evento che concluse la XVII dinastia e pose inizio al Nuovo Regno egizio.

Ridotti a schiavitù in Egitto, i Sabei (i membri delle elites Shasu) fecero pressione su alcune vetuste tradizioni che legavano il loro popolo, gli egiziani stessi e la città di Troia ad un’antichità remota in cui si adorava un unico Dio[3]. Nel 1359 a.C. divenne faraone Akhenaton, figlio di una donna Shasu e sposato ad una donna troiana. Nel 1355 a.C. Akhenaton accolse un’ambasceria di Shardana (stabiliti con una guarnigione sul Delta) che lo esortava a ritornare al culto del Grande Dio. Non sappiamo molto su Akhenaton, tranne che cercò di introdurre la religione del dio unico in Egitto e che per questo fu condannato alla “damnatio memoriae” con la distruzione dopo la sua morte nel 1342 a.C. di tutti i documenti e i monumenti a lui riferiti. Forse è per questo motivo che non ci è giunta molta documentazione su un personaggio del suo tempo noto ad ogni cristiano, ebreo o musulmano: Mosé.

Sappiamo che egli contribuì alla liberazione degli Shasu d’Egitto, aiutato da gruppi Shardana passati alla storia come tribù di Dan, portando il Dio unico fino alla città di Hebron in Giudea. Ma possiamo ritenere reale la vicenda della conquista della terra promessa e dell’Esodo?

 

L’esilio a Babilonia è finito

 

Nella seconda metà del VI secolo a.C., prima con l’amnistia del re Babilonese Awil Marduk e poi in seguito alla conquista persiana di Babilonia, gli ebrei fecero ritorno in Palestina dopo cinquant’anni di esilio, ma trovarono la loro terra occupata da altre genti, introdotte dalla mescolanza etnica delle deportazioni assire[4].

Serviva una motivazione ideologica per soverchiare gli occupanti, nonché la formulazione di un manifesto che giustificasse l’installazione dei reduci. La completa realizzazione del piano fu possibile grazie all’appoggio della corte persiana, presso la quale lavoravano il funzionario Nehemia (al tempo di Artaserse I – 464/425 a.C.) e lo scriba e sacerdote Ezra (al tempo di Artaserse II – 404/358 a.C.). Entrambi Giudei, furono inviati a Gerusalemme dalla corte imperiale per assistere all’edificazione del secondo tempio e delle mura e per mettere iscritto la legge secondo la volontà della classe sacerdotale dei reduci di Babilonia.

Nacque in questo contesto la teoria della “terra promessa” sulla quale solo gli ebrei avevano diritto di proprietà, e si formularono liste di popoli “indegni” sterminati dalle truppe del leader Giosuè (il successore di Mosé): Cananei, Hittiti, Amorrei, Perizziti, Hiwiti, Gebusei, ‘Anaqim, Refa’im, Girgashiti… un quadro inimmaginabile prima della mescolanza etnica indotta dalle deportazioni assire. La formula dell’uscita dall’Egitto era pre-esistente, ma si riferiva allo spostamento del confine politico, con l’Egitto che nel 1.170 a.C. perdeva il controllo sulla Palestina. In modo uguale il re Ittita Shuppiluliuma parlava della conquista della Siria come di un “entrata”, senza riferirsi ad un reale spostamento di genti:

La città di Qatna con tutti i suoi beni, io li feci entrare nella terra di Khatti… In un solo anno io presi e feci entrare tutte queste terre nelle terre di Khatti.

Quando però alla fine dell’VIII secolo si diffuse la politica assira delle deportazioni, e si mise in parallelo l’uscita metaforica dall’Egitto con l’uscita reale da Israele di gruppi di rifugiati del nord che si spostavano nel regno di Giuda[5], allora la voluta ambiguità della metafora lasciò il passo all’idea di una fuoriuscita migratoria, conservando il valore etico di liberazione dall’oppressione. Si costruì la vicenda migratoria sulla base delle storie di transumanza pastorale tra Sinai e Delta del Nilo, unite a più recenti movimenti di rifugiati tra Giudea ed Egitto. Si aggiunsero infine le testimonianze di lavoro coatto di gruppi di habiru (‘pr.w) (uomini liberi fuggiti dalla Palestina dopo l’asservimento per debiti) nelle imprese edilizie dei Ramesseidi in Egitto.

Gli elenchi o censimenti riportati in Numeri 2;26 risentono del tipo di registrazione amministrativa che veniva applicata a gruppi di deportati. Il deserto era inoltre conosciuto dagli eserciti della monarchia di Giuda, che l’avevano attraversato in una spedizione contro Mo’ab. La ricerca dell’acqua da parte di Mosè, che la fece scaturire dalla roccia (Esodo 17: 1-6) riecheggia la ricerca dell’acqua da parte dei profeti annessi all’esercito in tale occasione:

Così dice Yahweh: scavate in questo wadi pozzi e pozzi, perché così dice Yahweh: non vedrete vento né pioggia, eppure questo wadi si riempirà d’acqua e voi berrete, voi e le vostre truppe e le vostre bestie (da soma)! (2Re 3:16-17)

Anche il miracolo di Mosé che purifica l’acqua salmastra (Esodo 15:22-25) riecheggia l’analogo miracolo di Eliseo (2Re 2:19-22). Inoltre non è un caso che la conquista della terra promessa sia completata dal leader Giosuè, il cui nome coincide (Ezra 2:2, 3:2, ecc.) con quello del capo sacerdotale che guidò i reduci al ritorno da Babilonia. Addirittura ritroviamo (in Giosuè 11:1-14) lo scontro tra gli Israeliti guidati Giosué contro re Yabin di Hasor, uno scontro che si rivela essere l’artificiale duplicazione dello scontro reale tra Yabin e le tribù Galilee, guidate da Baraq 200 anni più tardi.

Se escludiamo il pentateuco, Mosé non è mai citato nei testi biblici prima dell’età post-esilio, a parte un passo di dubbia autenticità in Michea 6:4. Anche il Sinai è citato solo un paio di volte (Giudici 5:5, Salmo 68) ma senza collegamento al patto tra Dio e il popolo.

Le prime conformazioni statali (Saul e David) non mostrano alcuna unione pan-israeleitica, essendo la prima limitata alle zone di Efraim-Beniamino e la seconda al territorio di Giuda. Con Salomone si aggiunse il territorio di Manasse, ma restò esclusa la Galilea. Alla morte di Salomone (ca 930 a.C.) il regno fu diviso in due spezzoni: a nord (Israele), comprendente i territori di Efraim e Manasse, guidato da Geroboamo (un ex funzionario di Gerusalemme); a sud (Giudea), comprendente i territori di Giuda e Beniamino guidato da Roboamo figlio di Salomone. Solo sotto Baasa (908-886 a.C.), uccisore di Nadab figlio di Geroboamo, fu annessa la Galilea.

Prima della riforma religiosa di re Giosia (648-609 a.C.), Yahweh era ben lontano dall’essere un dio esclusivo, ed erano diffusi altari e steli dedicati a Baal, Ashera, Anat, Tamuz, o alle divinità Indù. Sotto re Ezechia (715-687 a.C.) si erano aboliti i culti della fertilità, reintrodotti però dal successore Manasse (687-642 a.C.), il quale trasformò il tempio di Salomone in un ricettacolo di idoli, tanto da indurre i Leviti a prelevare l’Arca dal Sancta Sanctorum per affidarla agli ebrei dell’isola di Elefantina in Egitto. Sempre sotto Ezechia fu distrutto un serpente di bronzo attribuito a Mosé e divenuto oggetto di culto. In epoca pienamente storica (metà dell’VIII sec.) un’importante testimonianza è fornita dalle iscrizioni rinvenute a Kuntillet’Ajrud, una fortezza ben addentro il deserto del Sinai. Alcune iscrizioni su intonaco parietale includono invocazioni del tipo “ti benedico per Yahweh di Samaria e per la sua Asherah”. Anche a Khirbet el-Qom un testo contiene l’invocazione “sia benedetto Uriyahu da Yahweh e dalla sua Asherah, dai suoi nemici l’ha salvato”.

Già da questi pochi indizi è naturale sospettare che l’Esodo e la conquista siano delle invenzioni ad’oc per legittimare il possesso sulla Palestina da parte dei reduci. Vedremo inoltre dai prossimi paragrafi come la storia della regione presenti una sostanziale continuità per quanto riguarda i suoi abitanti tra l’età del Tardo Bronzo (1550 – 1200 a.C.) e la prima età del ferro (1200 – 900 a.C.), il momento indicato dalla storiografia biblica per l’Esodo. Non vi furono cambiamenti significativi nella cultura materiale, ed anche l’uso del ferro per la costruzione di armi ed attrezzi, fu dettato soprattutto dal crollo dell’amministrazione palatina (delle elites), dipendente dal commercio di rame da Cipro e di stagno dall’Iran.

Pur manifestandosi dei notevoli cambiamenti nella struttura della società, questi avvennero per linee interne, e gli unici “nuovi arrivati” furono quei Popoli del Mare ben testimoniati dall’archeologia e che comprendevano gli Shardana (i nuragici) e i Filistei.

Di conseguenza la figura di Mosé, accettandone l’esistenza, devi limitarsi al ruolo di liberatore per quei gruppi di Shasu resi schiavi in Egitto, che con i futuri ebrei (come vedremo) condividono la loro origine. Slegando Mosè all’evento di un mai avvenuto Esodo di età ramesseide, è possibile retrodatare la sua figura al tempo di Akhenaton, centocinquanta anni prima, l’unico momento documentato della storia d’Egitto in cui il monoteismo è stato religione di stato.

All’ Altes Museum di Berlino sono conservati quattro papiri, ritrovati nei pressi di Ghurab[6], risalenti all’epoca del faraone Akhenaton. Qui si parla di Mosè e l’antico patriarca viene definito “proprietario di greggi” presso la corte faraonica e anche “ricco possidente di bestiame”. Si parla in questi scritti di alcune transazioni intercorse tra Mosé e alcuni proprietari di schiavi tra il 27esimo anno del regno di Amenofi III ed il quarto di Akhenaton. Nell’anno 27 del regno di Amenofi Mosé diede buoi a Neb-Mehy, proprietario di schiavi, in cambio di prigionieri di guerra e schiavi “addestrati e agguerriti”. Questi schiavi venivano definiti maryannu, un termine che indicava presso i cananei l’aristocrazia militare dei carristi. Altre transizioni simili vennero fatte lungo un periodo di quindici anni: pecore e buoi dal pastore Mosé in cambio di numerosi prigionieri e schiavi addestrati. Quelle transizioni furono riportate dallo scriba di corte Tutu (Papiri di Berlino 9784-9785): “Il proprietario di greggi Mosé era divenuto proprietario di schiavi e di prigionieri di guerra”.

Che ci faceva Mosé con quel milione di soldati e relative famiglie? Buoi e caproni venivano scambiati non solo con schiavi, ma anche con misteriosi servizi futuri che venivano solennemente promessi.  Nei papiri di Berlino esiste il verbale di un processo in cui un mercante di schiavi viene accusato e trovato colpevole per non aver assolto la propria parte del servizio preventivato relativamente al contratto stipulato con Mosè. Poi il servizio misterioso risulta effettivamente effettuato da parte del mercante di schiavi. Neb-Mehy doveva forse trasformare gli schiavi in guerrieri[7]? Mosé stava comprando un esercito per organizzare la fuga degli Shasu?

 

Gli stati regionali nella Palestina del Tardo Bronzo

 

Nell’età del bronzo (2.800 – 1200 a.C.) la Palestina era frammentata (insieme alla Siria) in una serie di piccoli “stati regionali”. Dalla conquista di Tuthmosi III, nel 1460 a.C., i re locali conservarono la loro autonomia ma divennero “servi” e tributari del faraone. Dall’archivio di el-‘Amarna sappiamo che solo tre centri erano sedi di governatori egiziani: Gaza sulla costa meridionale, Kumidi nella Beq’a libanese e Sumura sulla costa settentrionale, presso l’attuale confine siro-libanese. Guarnigioni erano a Giaffa (Tel Aviv), Bet She’an (al passaggio tra Yizre’el e la valle del Giordano), Ullaza (sullo sbocco al mare della via proveniente dalla valle dell’Oronte).

La città Palestinese constava di un centro urbano con il palazzo reale e le residenze di artigiani, guardie e servitori, più un circondario agricolo entro un raggio di una decina di chilometri, con una periferia di steppe per la transumanza pastorale. Al suo interno risiedevano circa tre-quattromila abitanti. In genere la città era fortificata e controllava un territorio circostante detto “stato regionale”, ove si trovavano case di agricoltori (da un minimo di due-tre alle cinquanta) raggruppate in villaggi privi di mura difensive. Uno stato regionale raggiungeva mediamente i 15.000 abitanti. La loro distribuzione copriva la costa, la piana di Yizre’el e la valle del Giordano, mentre era assente ad est del Giordano, a sud della Giudea e, salvo due eccezioni, nelle zone di altura. Le due eccezioni, la prima sulle alture di Giuda e la seconda sulla montagna di Efraim, erano Gerusalemme e Sichem.

Il popolo si divideva in due grandi categorie. Da un lato c’erano gli uomini del re, privi di mezzi di produzione propri, che lavorano per il re e ricevevano da lui una retribuzione. Questi andavano dall’aristocrazia militare dei carristi o maryannu, ai sacerdoti, agli scribi, artigiani, mercanti e guardie, fino agli schiavi agricoli che lavoravano la terra delle fattorie palatine.

Dall’altro c’era la popolazione libera, che possedeva terra e bestiame e forniva al re una quota del proprio stipendio sotto forma di tassa. Un’annata sfavorevole poteva però portare alla richiesta di un “prestito ad interesse e a pegno personale” fino a raggiungere la servitù per debiti.

Nel villaggio tutti erano imparentati attraverso scambi matrimoniali, così da poterlo considerare equivalente ad un’unità gentilizia (clan). Era gestito da un consiglio di anziani per l’ordinaria amministrazione, congiuntamente ad un’assemblea chiamata “la riunione” in cui convogliavano tutti i maschi adulti, coinvolta nelle cause di straordinaria amministrazione. Un “sindaco” di gradimento regale gestiva i rapporti con il palazzo.

 

I Sabei: i Nomadi delle montagne

 

Il quadro sopra delineato era completato dalle tribù di nomadi, i Sutei dei testi accadici, gli Shasu dei testi egiziani. I loro capi erano chiamati Sabei[8] dai primi ed Hyksos dai secondi. Occupavano le steppe del sud e dell’est, ai margini del deserto vero e proprio, nonché gli altipiani centrali. Racconta il papiro Anastasi I di età ramesseide:

(Sulla via di Maghara) il cielo è oscuro di giorno, essendo piantato di ginepri e querce e abeti che raggiungono il cielo. I leoni vi sono più numerosi delle pantere, vi sono orsi, e un cerchio di Shasu appostati sulla strada… (Al passo di Megiddo) la strettoia è infestata di Shasu nascosti sotto i cespugli, ve ne sono di quattro o cinque cubiti dalla testa ai piedi, feroci di faccia, di cuore non mite e che non ascoltano blandizie.

Capitava che gli Shasu cercassero rifugio in Egitto in tempo di carestia, accolti in applicazione dell’ideologia del faraone dispensatore di vita, come si legge nel rapporto di un ufficiale di frontiera

Abbiamo completato l’attraversamento degli Shasu di Edom, attraverso la fortezza di Merenptah-hotep-her-Ma’at in Soko, verso gli stagni di Per-Atum in Soko, al fine di farli vivere e far vivere le loro greggi nella terra di Sua Maestà il buon Sole di tutte le terre[9].

Questo accadeva ancora dopo la dominazione degli Hyksos in Egitto nel secolo e mezzo che va dal 1700 al 1550 a.C., come se i faraoni avessero per reazione accusato e schiavizzato solo le tribù effettivamente colpevoli e non l’intera etnia.

Una stele di Sethi I (1289 a.C.) ritrovata a Bet-She’an nomina una tribù Shasu degli “Abramiti” mentre, una stele di Merenptah (1230 a.C.) che celebra il trionfo del faraone in una campagna attraverso la Palestina, cita una tribù di “Israele”. Se gli Hyksos entrarono in Egitto rivendicando la terra concessa ad Abramo, è pensabile che gli Abramiti fossero gli schiavi d’Egitto liberati da Mosé?

 

Gli uomini liberi diventano Habiru

 

Nel Tardo Bronzo le difficoltà economiche indussero i contadini liberi a procurarsi il grano in cambio di pegni materiali, specie le terre, e poi di garanzie personali: mogli e figli diventavano servi del creditore, in una servitù temporanea che diveniva permanente nell’impossibilità di ripagare il debito. Infine il debitore doveva asservire se stesso e preferiva in molti casi darsi alla fuga.

Nel Medio Bronzo (1.900 – 1.600 a.C.) il re interveniva in modo “paternalistico” attraverso editti di remissione dei debiti e di liberazione dei debitori asserviti. Le norme giuridiche tutelavano invece il patrimonio familiare vietando la cessione di terre ad estranei. Tutto questo venne a mancare dalla metà del II millennio e ai contadini indebitati non restava che la fuga verso spazi di difficile controllo come le montagne boscose e le steppe pre-desertiche, dove si univano agli Shasu. I rifugiati erano detti habiru (fuggiasco), da cui deriva il termine “ebrei”. Il fenomeno crebbe con un effetto valanga allarmando i re cananei, i quali temevano che i contadini indebitati ma ancora sul posto potessero fare causa comune con gli habiru:

Se i contadini disertano, i habiru prenderanno la città (LA 135, da Biblo)

Cosa posso fare io che sto in mezzo ai habiru? Se non ci sono viveri del re per me, i miei contadini si rivolteranno. (LA 187, da Biblo)

L’atteggiamento dei re cananei portò all’allontanamento dei villaggi dal palazzo, che si concatenava ad un periodo di carestia, crisi demografica, restringimento in pianura delle zone agricole insediate e sfruttate. Dal 1200 a.C. i villaggi più grossi iniziarono a cingersi di mura e tesero a creare raggruppamenti (tribù) con i villaggi vicini, facendo azione comune nella difesa e nel coordinamento della transumanza, aperti all’assorbimento degli Habiru e delle loro rivendicazioni anti-palatine. L’assemblea venne da adesso convocata per ordinaria amministrazione, sia nei villaggi che nelle città, dove riapparvero alcuni atteggiamenti paternalistici del Medio Bronzo, nel tentativo di ricucire lo strappo tra il palazzo ed il resto della popolazione.

Sulle alture, la nuova unione Shasu-Habiru promosse operazioni di disboscamento e terrazzamento dei pendii. Si misero a punto tecniche di “aridocultura” sul fondo degli wadi[10]: sbarramenti trasversali trattenevano l’acqua facendola penetrare nel suolo, e trattenevano il suolo stesso altrimenti eroso dalle piene. Si scavavano anche pozzi più profondi e cisterne con intonaci a migliore tenuta idrica.

 

La carestia e i popoli del mare

 

Alla fine del XIII secolo piccoli gruppi di Popoli del Mare erano attivi sulle coste del Mediterraneo come pirati o truppe mercenarie (specie gli Shardana) al servizio dei piccoli re Siro-Palestinesi, dei Libici e dell’Egitto. Contemporaneamente tenevano un’alleanza con la città di Troia. Con l’arrivo della grande carestia del 1.200 a.C., queste avanguardie indicarono ai loro connazionali la strada verso le regioni fertili. Tutti i siti archeologicamente indagati presentano un quadro di distruzione assegnabile all’inizio del XII secolo. Tuttavia le città furono presto rioccupate, anche dagli stessi PdM, e furono riedificati i palazzi reali in parallelo con la ricostituzione di strutture direzionali monarchiche. Tra questi troviamo i Filistei, che occuparono cinque città sulla costa meridionale della Palestina o nell’immediato entroterra: Gaza, Ascalona, Ashdod, Gat, ‘Eqron. Sulla costa della Palestina centrale, a Dor, il racconto di Wen-Amun (ca. 1050 a.C.) segnala la presenza degli Zeker. Più a nord troviamo i Fenici (probabilmente gli stessi Shardana) ad Arwad, Amrit, Berito, Tiro, Biblo, Sidone, Sarepta.

 

I villaggi di montagna

 

Indicativa dell’età post-carestia fu l’occupazione degli altopiani con la costruzione di villaggi su altura da parte del nuovo gruppo Habiru-Shasu. La nuova società, che possiamo definire “proto-israelitica”, non era del tutto omogenea. Si ravvisa una maggiore continuità con la cultura cananea in quelle zone che, essendo meno impervie, erano già parzialmente occupate dal XIII secolo. Un’occupazione radicalmente nuova si ebbe nelle zone più impervie di Efraim e Beniamino, nell’Alta Galilea e nel Negev. Negli altipiani centrali si passò dai 29 siti del Tardo Bronzo ai 254 della prima età del Ferro. Un fenomeno simile accadde ai margini del deserto transgiordano, dove si passò da 32 a 218 siti. Inizialmente le abitazioni erano strette e lunghe, disposte una accanto all’altra, in cerchio attorno ad uno spazio aperto, ereditando la tipica disposizione delle tende dei nomadi. Successivamente l’insediamento rimase ovoidale ma le case divennero del tipo “a pilastri”.

E’ improbabile che i costruttori dei nuovi villaggi s’identificassero complessivamente come “israeliti”. Le forme della cultura materiale sono diverse: giare “collared rim” negli altopiani centrali, ma di tipo diverso in Galilea; villaggi su altura negli altopiani e campi pastorali nel Negev, ecc.. Inoltre le prime attestazioni del termine “Israele” sono circoscritte all’altopiano centrale (Manasse-Efraim-Beniamino).

Si fa risalire a questo periodo il “Codice dell’Alleanza” un testo legislativo contenuto nel libro dell’Esodo (21:1 – 23:19). Qui sono presenti norme che prevedono la liberazione dei servi dopo il settimo anno (così da rendere temporaneo l’asservimento per debiti), si vieta il prestito ad interesse tra membri della stessa comunità e si stabilisce il riposo settimanale. La normativa, contrapposta alla prassi del Tardo Bronzo, tendeva a tutelare lo status libero dei debitori, rifacendosi a procedure in uso pochi secoli prima.

Lo stato etnico aveva scarso bisogno di supporto amministrativo e trovava la sua coesione nella struttura gentilizia di una società sostanzialmente egalitaria. Una dirigenza poteva esistere occasionalmente in caso di guerra, ma fondata sul carisma e non su principi ereditari. Contrariamente alla città, lo stato etnico sviluppò un forte senso di appartenenza, basato sulla comune discendenza e sull’esistenza di un dio nazionale, nonché sul meccanismo di inclusione/esclusione a cui si ispiravano le norme dell’ospitalità e del connubio. Esistevano infatti gruppi sentiti come alieni per diversa organizzazione, dialetto, abitudini. Ma esistevano anche tribù che, ritenute estranee in periodo di pace, diventavano alleate in periodi di carestia (che richiedevano l’accesso a pascoli diversi dal solito) o di guerra. In questi casi la direzione poteva passare dal collegio degli anziani ad un leader carismatico, nella speranza che passata la crisi costui rientrasse nei ranghi, come fece Gedeone nella lotta contro i Midianiti (Giudici 8:22-27), ma come non fecero Saul e Davide.

Sono scarse le scritture di questo periodo ritrovate sugli altopiani: segni in proto-cananaico su un manico d’anfora a Khirbet Raddana, alcune punte di freccia con nome di persona provenienti da el-Khadr presso Gerusalemme, un alfabetario da ‘Izbet Sartah. Tuttavia non fanno che confermare una qualche continuità con la precedente cultura cananea, attestata anche dalla produzione di olio e vino che resta proporzionata al periodo precedente.

 

Gli scontri con le città – La presa di Sichem e Gerusalemme

 

Lo scontro tra città e tribù fu inevitabile. Alla fine dell’XI secolo la battaglia di Ta’anak presso Megiddo vide le milizie tribali della Galilea (Zabulon, Issacar e Neftali) e centrali (Manasse, Efraim e Beniamino) guidate da Baraq e incitate dalla profetessa Debora, scendere dalle montagne per affrontare i temuti carri da guerra delle città Cananee sotto l’egemonia del re Yabin di Hasor.

Le tribù degli altopiani centrali accerchiarono i territori di Sichem ed Israele, fino ad inglobarli in una nuova formazione politica. Già nel XIV secolo, le due città si distinguevano dalle città-stato delle pianure per una tendenza espansionistica e la loro connessione con gli habiru[11]:

E’ morto Lab’aya (re di Sichem) che prendeva le nostre città, ma ecco che adesso Abdi-Kheba (re di Gerusalemme) è come un secondo Lab’aya e prende le nostre città. (LA 27, del re di Gat)

Dovremmo forse fare anche noi come Lab’aya, che diede Sichem in mano al nemico (habiru)? (LA 37, di Abdi-Kheba)

Ecco che i due figli di Lab’aya hanno dato il loro argento ai habiru e ai Sutei, perché compiano ostilità contro di me. (LA 94, da Megiddo)

Nella prima età del Ferro, un clan eframita guidato da Abimelek impose di trasformare il protettorato del gruppo pastorale sulla città di Sichem in una sua formale accettazione come re (Giudici 9:1-6).

Tra Sichem e Gerusalemme le tribù si riconobbero unite al comando di Saul. Non vi era ancora traccia di un apparato fiscale o amministrativo e Saul più che “re” era definito “capo”. Il quadro archeologico è coerente con la tradizione biblica, con Shilo (sede dell’arca dell’Alleanza) e Mispa (luogo di riunione dell’assemblea) effettivamente occupate. Parallelamente, a sud, le tribù si riunirono sotto la guida da David, inizialmente appoggiato dai Filistei che gli concessero il suo primo dominio a Siklag. Fu incoronato ad Hebron, dove si adorava il dio Yahweh, importato da Mosé dall’Egitto. E’ interessante notare come quel dio unico dell’antica tradizione Shasu-Egizia-Troiana fosse chiamato Yah’co (Giacco, poi Bacco o Giano), da cui forse derivano sia Yahwe che Yah’cobb (Giacobbe).

Saul guidò le sue truppe contro Gerusalemme ed occupò la città, trasferendovi il dio di Hebron, che si venne ad affiancare alle divinità locali.

Alla morte di Ishba’al, figlio di Saul, gli anziani cedettero a David il loro regno. L’inclusione dei due centri palatini portò ad una prima strutturazione amministrativa: un capo dell’esercito e un capo del corpo di guardia del re, un araldo, un segretario e due sacerdoti palatini.

Con le successive espansioni sotto Salomone, figlio di David, possiamo effettivamente parlare di un regno d’Israele, con una struttura amministrativa compiuta ed una gestione palatina. Yahweh fu riconosciuto dio nazionale, ma occorse attendere altri tre secoli, sotto re Giosia (648-609 a.C.), affinché fossero banditi gli altri déi almeno per il territorio di Giuda. Una completa Yahweh-izzazione si ebbe forse solo al termine del rientro da Babilonia con la complicità dell’amministrazione persiana, che vedeva nella classe sacerdotale ebraica un efficiente mezzo di controllo sulla popolazione.

Concludendo, non ci sembrano storicamente verosimili gli eventi raccontati nel libro dell’Esodo, e pertanto viene meno l’immagine di un Mosè fondatore e liberatore del popolo ebraico. Il regno di Israele si è formato per tappe interne, in seguito a rivoluzioni sociali che hanno modificato l’assetto della Palestina, privilegiandone l’elemento tribale. L’accettazione del dio unico, così come della circoncisione (anch’essa imparata in Egitto da Mosé[12]) fu un legante per la nuova società che cercava un segno tangibile per distinguersi dai cananei della tarda età del Bronzo. Al ritorno dall’esilio questa necessità divenne ancora più forte per evitare una confusione tra le razze, amplificata dai figli dei matrimoni misti, per i quali serviva un’etichetta “fisica” dell’accettazione da parte del popolo ebraico.

Resta tuttavia la necessità di un’origine per il fenomeno del “dio unico”, e questa può trovarsi senz’altro nella figura di Mosé, che si trovò direttamente a contatto con la religione del dio unico che il mito riconduce all’isola di Atlantide. Di etnia Shasu, stimolato da un passato glorioso che il mito attribuiva ai suoi antenati, fu portato ad organizzare un vero e proprio esercito per liberare coloro che si trovavano schiavi in Egitto e ricondurli nella loro terra. Qui tuttavia furono solo un piccolo gruppo, e non la totalità, degli antenati degli ebrei.

 

Di Diego Marin

 

[1] La cronologia comunemente accettata per l’impero sargonide lo pone tra il 2334 a.C. e il 2172 a.C. (tra il 2.800 e il 2.600 a.C. circa nella cronologia ricalibrata), ma esistono indicazioni che ci permettono di retrodatare questo momento. In particolare, sul cilindro delle fondamenta depositato da Nabonide (re di Babilonia vinto da Ciro) si cita la scoperta della pietra delle fondamenta, appartenuta al tempio originale edificato da Naram-Sin, figlio di Sargon d’Akkad, vissuto 3200 anni prima di lui. Nabonide regnò dal 556 al 539 a.C., così che sottraendo i 3200 anni arriviamo attorno al 3750 a.C.. Tra i sostenitori di questa data più antica troviamo il professor A.H. Sayce di Oxford, nonché l’italiano professor Mario Pincherle.

[2] Vedi Sepher Hayashar (Midrash eroico su Genesi, Esodo, Numeri e Giosuè) 51, 52; Giuseppe Flavio, Antiquitates i 8; Genesis Apocryphon (ed. da N. Avigad e Y.Yadin, Gerusalemme 1956) 43-44; Giubilei XIII 1-15; Gen. Rab. 389, 554; Tanhuma (Midrash sul Pentateuco) Lekh 5 e 6; Tanhuma Buber (Midrash Tanhuma) Gen. 66-67; PRE (Pirqe Rabbi Eliezer, midrash sull’opera di Dio durante la creazione e sulla più antica storia di Israele), ch. 26.

[3] M.Diego, E.Schievenin, I.Minella (Gruppo Pangea), Atlantidi: i tre diluvi che hanno cancellato la civiltà, Eremon Edizioni

[4] L’imperatore assiro Tiglat-pileser III (744-727 a.C.) aveva riunito l’impero, frazionato da una rivolta feudale durata oltre 30 anni. Quando il re di Israele Peqah, assieme all’ultimo re di Damasco Resin, pose Gerusalemme sotto assedio, Achaz re di Giuda chiamò in aiuto Tiglat-pileser dichiarandosi suo servo. L’intervento assiro trasformò la Galilea nella provincia assira di Megiddo e pose sul trono di Samaria l’usurpatore Osea che promise di pagare tributo. Quando Osea cessò il pagamento, Sargon II prese Samaria e deportò 27.920 samaritani, sostituendoli con deportati di altre provenienze. Ezechia (704-681 a.C.) figlio di Achaz smise di pagare tributo ed avviò una politica espansionistica. Il re assiro Sennacherib (704-681 a.C.) intervenne nel 701 senza però riuscire ad espugnare Gerusalemme. Nel corso della campagna furono deportate comunque 200.150 persone. In totale gli Assiri deportarono 40.000 persone da Israele e 200.000 da Giuda. In tutto l’impero, la pratica delle deportazioni coinvolse 4,5 milioni di persone nell’arco di 3 secoli.

[5] All’epoca la Palestina era divisa nel regno di Israele a nord (con capitale Samaria), e regno di Giuda a sud (con capitale Gerusalemme).

[6] Ghurab o Abu Goràb: i templi solari sulla riva del Nilo tra Menfi e Giza.

[7] Mario Pincherle, Il Libro di Abramo, Eifis Edizioni

[8] A partire dall’VIII secolo a.C., gruppi di Ebrei che avevano combattuto in Etiopia al servizio dei faraoni, si stabilirono laggiù e si fecero chiamare con questo nome. Si veda la favola del Kebra Nagast, scritta nel XIII sec. d.C., dove la Regina etiope è chiamata “Regina di Saba”. Attualmente gli ultimi ebrei d’Etiopia sono noti come Falasha.

[9] Riportato in Mario Liverani, Oltre la Bibbia – Storia antica di Israele -, Editori Laterza

[10] L’uadi o wadi (arabo وادي, wādī, pl. وديان, widyān), è il letto di un torrente, quasi un canyon o canalone in cui scorre (o scorreva) un corso d’acqua a carattere non perenne. Si trova generalmente nelle regioni desertiche, ad esempio nel Sahara o nei deserti della Penisola araba. In occasione di forti piogge – a sviluppo prevalentemente locale e occasionale – lungo il suo bacino idrografico oppure alla sorgente, l’alveo del torrente si riempie in breve tempo di acque che assumono un regime accidentato e tumultuoso per un periodo determinato dall’esaurimento della scorta d’acqua prodotta dalle condizioni climatiche originanti il fenomeno.

[11] Citazioni riportate in Mario Liverani, Oltre la Bibbia – Storia antica di Israele -, cap. 4, Editori Laterza

[12] Abbiamo già visto come la circoncisione fosse stata un segno distintivo per le elites indo-iraniche ed i Popoli del Mare. Appare quindi credibile la testimonianza fornita dagli annali di Seti I che vuole Mosè generale dell’esercito Shardana nella regione di Jessen sul Delta.

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