Operazione Messiah

Un’interpretazione dei luoghi, personaggi ed eventi legati alla vita di Gesù. Una nuova visione delle sacre scritture e della Bibbia.

 

Tra i venti poteri eccezionali che l’orientalista ungherese Ignace Goldziher (1850-1921) ha elencato studiando gli atti dei santi musulmani, il nono e il decimo riguardano la loro capacità di fermare lo scorrere del tempo. I Vangeli Apocrifi sostengono la stessa cosa narrando del momento della nascita di Yeshua Bar Yosefa: Gesù. Uomini e animali s’immobilizzarono per un istante, scena che i pittori rinascimentali chiameranno “Natività”.

Se siamo in grado d’immaginare qualcosa di quell’evento lo dobbiamo alle enigmatiche pagine dei testi “apocrifi”. Racconti segreti, se non eretici. Le narrazioni di queste fonti riempiono i vuoti che i Vangeli canonici hanno lasciato in un resoconto che sembra univoco. Così simile che gli studiosi cercano ancora la “Fonte Q”, il testo che originò tutti gli altri. Si è acceso così un dibattito tra sacro e profano, tra scienza e fede sull’evento della nascita di Gesù. Quando si verificò l’impero romano adorava un Pantheon demenziale di divinità ereditata in parte dai culti dei paesi conquistati.

Le volute dell’incenso bruciato nei templi saliva nel cielo di Roma in onore di divinità antropomorfi o esseri umanizzati senza corpo. Ciò che accadeva quella notte capitava in un momento difficile politicamente per la Palestina. Da tempo oltre agli Esseni, ribelli zeloti e gente comune attendevano un Messia. Questo avrebbe liberato la loro terra dagli invasori romani. Un Redentore guerriero com’era stato Davide e prima di lui altri re dell’antichità ebraica.

Ma l’innovazione che il Galileo portava non era quella delle armi. Così questa storia non fu compresa dai suoi contemporanei, né oggi la si comprende come si dovrebbe. L’aveva previsto anche il giovane Gesù quando nel Tempio, di fronte ai dottori della Legge, definì l’evento che lui rappresentava troppo grande per essere compreso dai saggi: «Quelli che non conoscono l’aleph, come possono parlare del thau?»

 

Un villaggio speciale

 

Betlemme, otto chilometri a sud di Gerusalemme, dove la tradizione colloca la nascita di Gesù, aveva un destino segnato. La città è menzionata in una lettera di Amarna inviata nel 1250 a.C. al faraone Akhenaton, da un solerte funzionario di frontiera che si lamentava del passaggio a “Bit Lam”, Betlemme, degli “Apiru”, gli Hapiru. In questa cittadina era nato Davide, evento che trasformerà quel villaggio in un simbolo per Israele come aveva profetizzato Michea nell’VIII secolo a.C.: «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1).

Matteo e Luca riportarono queste parole dell’Antico Testamento per confermare la nascita del loro Maestro come già annunciata. Maria e Giuseppe erano di Nazaret, in Galilea. Un villaggio che non godeva di buona fama presso gli ebrei. Infatti Giovanni disse: «Cosa può venire di buono da Nazaret?» (Gv. 1,46). Luca parlò di un censimento per giustificare lo spostamento di Gesù da questa cittadina insignificante nel luogo dov’era iniziata la stirpe di Davide. Il rilevamento cui si riferiva probabilmente era una delle due volute dal governatore della Siria Quirinio. Il decreto ingiungeva ai cittadini di andare a registrarsi presso la città di origine. La famiglia di Giuseppe era originaria di Betlemme e quel villaggio vide nascere Gesù. Betlemme diventava l’ombelico del mondo. Si sostituì, quindi, ad altri punti focali di culti antichi, da Delfi a Siwa, da Pergamo ad Eleusi. La strage degli innocenti

 

Betlemme

 

Cristo insomma nasceva in un villaggio il cui nome era già un programma: Betlemme, “Beth Lehem”, la Casa del Pane, o “Beith Lahm”, la Casa della Carne. La grotta, dice il Vangelo apocrifo dell’Infanzia di Gesù, «parve simile al tempio di un mondo più alto» (IV-1). L’epoca delle spade trasformate in aratri annunciata dal profeta Isaia era però ancora lontana. Quel Messia neonato non avrebbe cambiato nulla materialmente in Giudea, tranne diffondere la speranza, cosa che i vecchi dei non avevano saputo fare. I templi, ha scritto il mitologo Joseph Campbell, sono eretti per celebrare il miracolo della perfetta centralità, diventano un luogo attraverso il quale passa l’eternità. Un Omphalos, continua Campbell, « produce tutto il male e il bene del mondo, il brutto e il bello, il peccato e la virtù, il piacere e il dolore».

Betlemme sarebbe divenuta il nuovo “Templum” per il Cristianesimo fin dall’epoca di Costantino che consegnò quel villaggio alla storia, aggiungendolo agli innumerevoli altri luoghi sacri di una Israele diventata un “paese Tempio”. Quello in cui nasceva Cristo non era certo tra i migliori. Non c’è mai stata un’età dell’oro se non nella testa dei filosofi. In Israele, a quell’epoca, ci si aspettava da tempo un cambiamento dopo che Pompeo era entrato a cavallo nel Tempio senza essere fulminato dal Santissimo, e Caligola aveva preteso che la sua effige fosse venerata in Gerusalemme come quella di un dio.

Il predicatore, l’uomo dei miracoli, il rinnovatore nasceva in un momento difficile per la Palestina, popolata da gente di origine cananea, filistea, ebraica, siriaca e greca. In mezzo si inserivano i Romani indesiderati da alcuni, appoggiati da altri in un tutto contro tutti. La nascita di Gesù creava l’ennesimo problema.

 

Erode

 

Erode, re della Giudea dal 40 a.C., fu il primo ad accorgersi di quel “pericolo”, sebbene alcuni pensano che costui fosse già morto prima della nascita del nuovo profeta. Da recenti studi ritenuti incontestabili, Erode aveva 15 anni nel 54 a.C., cioè nove anni da quando Ircano II nel 63 a.C. era stato nominato da Pompeo sommo sacerdote di Gerusalemme. Erode sarebbe morto pertanto a 71 anni, nel 2 dell’era volgare dopo la nascita del suo piccolo nemico che aveva già un anno. La durata del regno dei tre figli di Erode mostra che il conteggio è esatto. Archelao fu cacciato dalla Giudea nel 7 d.C. dopo 10 anni di reggenza.

Filippo morì nel 34 d.C. dopo 37 anni di reggenza e Antipa morì nel 40 d.C. dopo 43 anni di regno. Queste date fanno pensare ad un periodo di almeno tre anni di co-reggenza di Erode con i figli, e che al 4 a.C. si deve attribuire non la morte, bensì la data della compilazione del testamento col quale suddivideva il regno tra i tre figli. L’autore della “strage degli innocenti”, se mai avvenne, era quindi Erode il Grande.

 

Il conteggio delle vittime

 

L’eccidio di bambini attribuita a questo monarca divide ancora gli studiosi. Quante furono le vittime? Beth-lehem col suo territorio, all’epoca della nascita di Gesù non contava più di 1000 abitanti. Di questi, circa 30 erano bambini nati in un anno. Erode ordinò di uccidere i nuovi nati dai due anni in giù, dei 60 venuti alla luce nel biennio. La mortalità infantile in Palestina aveva già eliminato i bambini più deboli.

Le vittime, femmine escluse, non poterono essere quindi più di 25. Non esiste traccia della promulgazione di questa legge. È probabile che la notizia giungesse a Roma, poiché anche qui avvenne un fatto simile. Narra Svetonio (August., 94) che, pochi mesi prima della nascita di Augusto, a Roma accadde un prodigio. Questo fu interpretato dal popolo romano come il segno della nascita di un re.

Il Senato repubblicano ne fu spaventato. Per scongiurare la sventura d’una monarchia ordinò che nessun bambino nato in quell’anno fosse allevato e cresciuto. Svetonio fa quindi capire che la notizia della strage di Beth-lehem circolò a Roma, benché accolta con indifferenza. All’Urbe poco importava se Erode avesse fatto ammazzare una ventina di bambini in Palestina. Dopo la strage di Beth-lehem, chi l’aveva ordinata morì roso dai vermi. Nemesi storica, si direbbe, considerando che dall’Herodium, la tomba nella quale fu sepolto Erode, si poteva vedere il villaggio dov’era nato colui che era sfuggito a quella piccola ma significativa strage.

 

Il segno del Mahdi

 

Dalla nascita di Cristo il cronometro del tempo ha ripreso il countdown dell’attesa che qualcosa di simile (il ritorno di un Messia) accada nuovamente. Più di settanta paesi ne invocano l’arrivo il cui avvento dovrebbe essere annunciato da segni e nei sogni dei profeti. Questa speranza è così radicata nelle religioni da disorientare chi cerca di riconoscere quali caratteristiche avrà un simile personaggio. Tempo prima che l’evento si verifichi, avverranno prodigi che indicheranno che il “tempo è vicino” per la venuta di un Messia, che giungerà a redimere i peccati dell’uomo. Anche nel mondo arabo si attendono i segni, chiamati “precedenti”, eventi straordinari e condizioni generali della società umana che ne annunceranno l’arrivo.

Come all’epoca della Natività di Cristo, si vivrà un incredibile degrado morale e sociale: “La scienza e la saggezza scompariranno dalla faccia della terra. L’ignoranza si diffonderà dappertutto e gli uomini seguiranno senza ragionare le idee e le opinioni altrui. La terra sarà invasa dalla corruzione e dalla dissolutezza, aumenteranno gli omicidi, i furti e le false testimonianze. La gente sarà colpita dal carovita e vivrà con grandi difficoltà economiche; aumenteranno le morti. Gli empi e gli iniqui conquisteranno il potere. La gente ignorerà la preghiera e l’adorazione di Dio, mentirà con estrema facilità e perderà la fede. Le donne diverranno simili agli uomini e gli uomini alle donne”. Insomma, i nostri tempi.”

 

Figure assenti nella Natività

 

Nella scena della Natività mancano però diversi personaggi. La famiglia di Gesù era composta, oltre che dai genitori, da quattro fratelli e da almeno due sorelle. A Betlemme erano presenti in quella grotta altri bambini e adolescenti. Perché non sono citati nell’evento che li coinvolgeva? Si è sperato che arrivasse qualche chiarimento quando il 28 marzo del 1980 a sud-est di Talpiot, cinque chilometri da Gerusalemme, fu scoperta una tomba di famiglia.

La spelonca conteneva dieci ossari, sei dei quali recavano delle epigrafi. Su uno di questi si leggeva l’iscrizione: “Gesù figlio di Giuseppe”. La squadra di archeologi incaricata di scavare la tomba, la attribuì al Secondo periodo del Tempio, databile dal 538 a.C. al 70 d.C., e appartenuta ad una ricca famiglia ebrea locale, così come altre 900 tombe simili scoperte nella stessa area. Nel 2007 un documentario girato da Discovery Channel per la regia di James Cameron (il regista di Titanic) e del giornalista investigativo Simcha Jacobovici, intitolato La Tomba Perduta di Gesù, usciva congiuntamente ad un libro scritto dallo stesso Jacobovici e da Charles Pellegrino La tomba della famiglia di Gesù.

 

DNA

 

Documentario e volume prospettarono l’idea che la Tomba di Talpiot altro non fosse che il luogo della sepoltura di Gesù di Nazareth e di altri suoi familiari. Gli ossari, ritrovati nella grotta scavata nella roccia di calcare duro, furono consegnati al Museo Rockefeller per l’analisi del DNA tranne qualche frammento osseo sottratto per scoprire se quel corpo apparteneva realmente a Gesù, e per paragonarlo al DNA ricavato da altre ossa rinvenute nella stessa tomba tra le quali quelle di una certa “Mariamne” (Maria?). Analizzate da Carney Matheson del Laboratorio di Paleo–DNA dell’Università di Lakehead in Ontario, Canada, l’analisi concluse però che non esisteva tra i corpi nessuna relazione di parentela il che fece presupporre che quella “Mariamne” fosse Maria Maddalena.

 

Processo alla tomba

 

Sui sei ossari ritrovati nella tomba di Talpiot erano incisi i nomi di “Gesù, figlio di Giuseppe”, “Maria”, “Mariamne”, “Matteo”, “Giuda, figlio di Gesù” e “Jose” (un diminutivo di Giuseppe) nomi attinenti figure del Nuovo Testamento.

James Cameron nel suo documentario sosteneva che “Maria” era senz’altro la madre di Gesù. Mariamne, invece, sarebbe Maria Maddalena inclusa nella tomba in quanto “moglie” del Maestro. “Jose” poteva essere fratello di Gesù, e Matteo era stato senza dubbio seppellito nella tomba quale amico di famiglia. La tesi è debole per diversi motivi. Le iscrizioni sugli ossari sono compilate in tre lingue diverse: ebraico, aramaico e greco.

Se questa era una tomba di famiglia, doveva essere una sepoltura multi–generazionale. Il nome che viene identificato come Maria Maddalena è graffito in greco, mentre quello di Gesù, che si suppone essere suo marito, è in aramaico. Le iscrizioni erano compilate in maniera sciatta, superficiale. Gli ebrei che raccolsero i resti delle varie persone sepolte li posero in tempi diversi nelle urne anni dopo la loro morte.

Se la famiglia di Gesù e i suoi amici avessero progettato il seppellimento del Maestro, si sarebbero presi un po’ più cura nello scriverne il nome sul suo ossario. La persona principale sepolta è associata al padre, in questo caso Gesù figlio di Giuseppe ed il figlio di Gesù, Giuda. Sfortunatamente per la tesi del Cameron, la famiglia di Gesù proveniva dalla Galilea, non dalla Giudea. Quindi un ossario che avesse contenuto i resti del Gesù biblico avrebbe senz’altro riportato la dicitura “Gesù di Nazareth” e non Gesù “figlio di Giuseppe”.

Se poi una tomba fosse stata costruita dalla sua famiglia e se questa avesse avuto abbastanza soldi per acquistare una tomba di quel genere, probabilmente sarebbe stata comprata a Nazareth e non in un sobborgo di Gerusalemme.

 

Ombre sullo sfondo

 

In quell’ossario manca Giacomo. All’epoca della nascita di Gesù, doveva essere in tenerissima età. Perché non è citato nel gruppo di famiglia in un interno a Betlemme? E se è vero che quei profughi scappavano in seguito all’editto di Erode che ordinava l’uccisione dei bambini dall’età di due anni in giù, non avrebbe dovuto essere con il padre se ne era figlio di un precedente matrimonio?

Giacomo il Giusto, fratello del Nazareno è spesso confuso con un altro Giacomo, fratello di Giovanni, figlio di Zebedeo. Confusione, dice il biblista Robert Eisenman, per relegarlo in una posizione laterale rispetto al ruolo che invece avrebbe avuto in Palestina tra il 40 ed il 60 dopo Cristo nella Chiesa di Gerusalemme.

Quindi Giacomo doveva essere con Giuseppe e gli altri in quella grotta a Betlemme. Invece compare improvvisamente nei Vangeli Apocrifi nella casa di “Maria madre di Giovanni detto anche Marco” (12-12) sebbene Gesù nel Vangelo di Tommaso, scoperto a Nag Hammadi nel 1947, raccomandasse: “nel luogo in cui andrete, presentatevi a Giacomo il Giusto per il quale sono stati fatti il Cielo e la terra”.  Segno di stima e di considerazione come si dovrebbe ad un fratello carnale.

 

Matteo e Giacomo

 

Ma torniamo a quella tomba. Perché solo Matteo era incluso in quella tomba di famiglia e non gli altri discepoli che (secondo i Vangeli) erano stati più vicini a Lui? Se Matteo non era un membro della famiglia, perché era al posto di Giacomo in quella tomba? Sull’interpretazione del  termine fratello si dovrebbero fare considerazioni particolari. Gli si può attribuire significati diversi dati i tempi. Non ultima la possibilità che Giuseppe avesse avuto altri figli da un precedente matrimonio.

Su questo fratello di Gesù si hanno due referenze anche negli scritti di Giuseppe Flavio. Perché, allora, il suo ossario non è nella tomba? Alcuni anni fa fu ritrovata un’urna del i secolo d.C. sulla quale era stato scritto “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”. Anche allora gli studiosi si divisero sulla sua autenticità. Intanto, non era nella tomba di Talpiot.

Né poteva esserci poiché la sua forma e la sua epigrafe erano diverse da quelle ritrovate di recente. Nei Vangeli, nessuno eccetto i testimoni ostili a Gesù lo identificano come “figlio di Giuseppe.” Infatti, è identificato come “figlio di Maria”, fatto molto insolito e significativo. Per secoli gli ebrei furono identificati dal patronimico, non dalla loro madre. Questo anche quando il loro padre era morto, essendo una cultura fortemente patriarcale.

Il fatto che i Vangeli legano Gesù a Maria, suggerisce che i suoi seguaci conoscevano la storia della sua nascita. È improbabile quindi che fosse seppellito con l’iscrizione “figlio di Giuseppe”. Se questa tomba includeva i resti mortali di Gesù e della sua famiglia, sarebbe diventata meta di pellegrinaggi dell’attesa di un suo ritorno. Insomma, i dubbi rimangono, ma si sa che la speranza di capirne di più è l’ultima a morire. Allora, perché non farlo nascere noi un nuovo Messia?

 

Clonaid e la Sindone

 

A pochi chilometri da Edimburgo esiste la più interessante attrattiva per gli appassionati del mistero: la Cattedrale di Rosslyn. È una costruzione del 1400 ricca di simbologie scolpite sulla pietra in straordinaria sequenza. Grazie ad alcuni scrittori dalla fervida fantasia, questo luogo è diventato il punto focale di chi crede nel mito del Graal, il calice nel quale fu raccolto il sangue di Cristo crocefisso.

Qualcuno ritiene che a Rosslyn sarebbe sepolto il suo corpo, portato qui dopo la sua morte in croce. Oppure, si ritiene conservi la coppa che ne avrebbe raccolto il sangue. Sono leggende come questa a dare vita a tutta una serie di pubblicazioni che hanno fatto di Rosslyn il centro di una nuova corrente new age che raccoglie personaggi le cui utopie si basano sulla carnalità di Cristo, sul suo matrimonio con Maria Maddalena, il tutto mischiato con i cavalieri Templari ai quali si dovrebbe l’arrivo a Rosslyn dei sacri resti trafugati in Palestina all’epoca delle crociate.

Pochi chilometri più a sud dall’abbazia di Rosslyn i pullman dei turisti passano davanti ad una serie di fabbricati bassi: sono i Roslin Laboratories. Qui è nata Dolly, la pecora clonata, il primo essere vivente costruito in provetta. Da tempo vi si conducono esperimenti di ingegneria genetica tra i più arditi. E la vicinanza al celebre monumento, invischiato con la leggenda del Graal, sta facendo versare fiumi d’inchiostro ai technothriller teologici. La vicinanza tra l’abbazia di Rosslyn e i Roslin Laboratoires ha dato vita a una leggenda metropolitana: perché l’abbazia e i laboratori sono così vicini? Per caso si sta tentando di clonare Cristo partendo da una sua emazia sottratta alla Sindone o al suo corpo conservato a Rosslyn?

 

Fabbricazione di Messia

 

In California esiste davvero una setta religiosa a Berkeley, Clonaid, capeggiata da Kristan Lawson. Questa da tempo dichiara di voler clonare Gesù utilizzandone il sangue preso della Sacra Sindone. Il Programma Clonaid vorrebbe davvero creare un clone del Nazareno utilizzando una delle sue reliquie sparse per il mondo. Grazie all’ingegneria genetica e al DNA da esso ricavato, si feconderebbe l’ovulo di una vergine per fare il resto.

Brigitte Boisselier, “sacerdotessa” di Clonaid, ha sostenuto: «Siamo stanchi di risposte evasive del tipo Gesù è nei nostri cuori e ovunque. Noi vogliamo azione e se noi cristiani non prendiamo il toro per le corna dovremo aspettare tutta l’eternità».

In altre parole perché aspettare l’arrivo di un altro Messia quando potremmo fabbricarcene uno subito? I promotori del “Second coming project” hanno molto denaro per fare quanto si sono promessi, un miracolo che fin dall’antichità ha creato problemi non indifferenti nel mondo. L’attesa del messia o il riconoscimento di un nuovo profeta sono stati i motivi parossistici di guerre e progetti assurdi come quello appena ricordato. Il Cristo storico non basta più.

La scienza vorrebbe sostituirsi alla fede creando un simulacro dell’uomo la cui dottrina vinse il paganesimo, superò il concetto di un Dio invisibile, apparentemente irraggiungibile ed al contempo, dio degli eserciti e della misericordia. Contrapposizione troppo spesso citata per motivi di comodo.

 

Aspettative

 

Ad un recente congresso di medicina tenuto in India, gli scienziati hanno discusso l’ipotesi di creare un headless human. Si tratta di  un uomo senza testa ottenuto manipolando l’embrione umano. Si otterrebbe, così, una organ farm, una “fattoria di organi umani” utilizzabile per la ricerca scientifica. Sembrano follie fantascientifiche ma il fatto che se ne discuta e che si spendano soldi in questi progetti, fa pensare che il dibattito sulla clonazione nasconda la volontà dell’uomo di dominare la vita umana, arrivando a manifestare una titanica quanto megalomane vertigine di potere. Clonare Hitler, Einstein, Leonardo dalle loro cellule farebbe comodo a schiere di fondamentalisti d’ogni tipo.

Il battage sul tema di Cristo clonato continua nelle story–board mascherate da thriller che rendono credibile l’inverosimile. «Due enormi possibilità si celano dietro il corpo di Cristo – scrive Michael Byrnes nel suo romanzo Il vangelo dei Templari – attraverso sofisticate tecniche di ricostruzione del DNA l’essenza divina del Salvatore potrebbe diventare il vero Graal […]: una vera fonte di salvezza, capace di curare malattie genetiche e di sanare cellule piegate da cancro mescolando la storia per creare un Cristo che nasce […], per riportare al punto di partenza Cristianesimo, Ebraismo e Islam, vanificando tutte le guerre di religione, passate e future, che ancora oggi straziano il Medioriente».

Ritorniamo al punto iniziale, alla nascita di un nuovo Messia dimenticando che la morte di Cristo era una nuova Natività. Una luce inondò il sepolcro e Cristo scomparve lasciando il lino del sudario. I sindonologi affermano che ci volle un’energia radioattiva per impressionare la Sindone. Dunque quel corpo sublimò in un fascio di luce? Si riproduceva il miracolo della nascita? In fondo la morte è questo: un nuovo inizio. Lo si sapeva da sempre ma Yeshua Bar Yosefa lo rendeva visibile. La morte con lui era sconfitta.

 

di Vittorio di Cesare

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