Confermata la prima prova archeologica dell’esistenza di Gesù di Nazareth
Il processo in corso in Israele da undici anni ha finalmente confermato, prove scientifiche, archeologiche e chimiche alla mano, che l’Ossario di Giacomo non è un falso, un oggetto la cui importanza è tale da aver scatenato uno dei più grandi cover-up del secolo scorso e di quello attuale.
La storia di questo reperto è così controversa, così complessa ed articolata, così pericolosa, da preoccupare sensibilmente esponenti dell’alto clero vaticano, delle massime istituzioni accademiche israeliane e del governo stesso di Israele. L’ Ossario di Giacomo il Giusto, il fratello di Gesù costituisce infatti la prima prova archeologica dell’esistenza del maestro di Nazareth e dei suoi fratelli carnali, come insegnato nei vangeli.
La testimonianza dello storico Luca, negli Atti (12:13), afferma che Giacomo morì evidentemente di spada nel 44 E.V. per ordine di Erode Agrippa I, e fu il primo dei dodici apostoli a morire come martire.
Un puzzle complicato
Per ricomporre questo intricato affaire, è necessario fare un passo indietro tornando all’anno della scoperta dell’ Ossario di Giacomo: nel 2002 Oded Golan, conosciuto collezionista ed esperto di antichità israeliano, contattò il prof. André Lemaire, il massimo epigrafista semitico del mondo, alla Sorbona di Parigi, per mostrargli una serie di pezzi di pregio e in particolare per avere alcuni consigli da esperto su un piccolo ossario approssimativamente datato al I sec.
Lemaire, esaminando vari reperti rimase piuttosto colpito nel notare l’iscrizione incisa su un lato: “Yaakov bar Yoseph achui de Yeshua” ovvero “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù.”
Secondo i filologi, gli studiosi di ebraico antico e gli archeologi che studiarono l’ Ossario di Giacomo, esso risaliva effettivamente al I sec. Per l’iscrizione vi era qualche dubbio solo sull’ultima parte, fratello di Gesù. Infatti, mentre i nomi riportati presi a sé erano piuttosto comuni, l’indagine statistica relativa alle migliaia di ossari ritrovati indicava che la presenza di tutti e tre i nomi nella stessa epigrafe era estremamente rara: ciò significava un’altissima probabilità che i tre personaggi menzionati fossero proprio quelli di cui parlano i Vangeli.
In pratica si trattava della prima prova archeologica e non semplicemente testuale dell’esistenza di Gesù di Nazareth, una scoperta straordinaria, l’unica del genere mai emersa nel mondo della archeologia biblica.
Un nuovo metodo di sepoltura
Solo tra il 30 e il 70 d.C. gli ebrei utilizzarono questo metodo di sepoltura. Dopo una disposizione del morto in catacombe per circa un anno, le ossa venivano poi riposte in ossari di media grandezza, decorati da iscrizioni e particolari scolpiti. L’indagine statistica non lasciava spazio a dubbi. su questo tutti gli studiosi sono d’accordo. Il testo cardine per questo tipo di studi è: Levi Yizhaq Rahmani, A Catalogue of Jewish Ossuaries in the Collections of the State of Israel (Jerusalem: Israel Antiquities Authority, 1994. L’unico dubbio era sulla parte finale dell’epigrafe: “(…) fratello di Gesù” che si pensava fosse stata falsificata e invecchiata artificialmente.
Incuriosito da questa notizia e desiderando scrivere un libro su questo argomento, nel corso degli anni mi sentii più volte con André Lemaire per una consulenza specialistica ai massimi livelli e lo studioso francese rimase sempre della stessa opinione, supportato in questo da diversi esperti di settore.
Ma il mondo dell’archeologia biblica subì un terremoto di proporzioni insolite: questa scoperta scatenò un tale putiferio da far intervenire autorità ecclesiastiche e servizi di sicurezza di diverse nazioni.
Ossario di Giacomo: un terremoto istituzionale ed ecclesiastico
Se l’ossario era effettivamente il contenitore delle ossa dell’apostolo Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, ciò avrebbe minato alla base il dogma cattolico di Maria Semprevergine, e avrebbe comunque rinnovato l’interesse riguardo alla figura del maestro di Nazareth, cosa che l’ebraismo e l’islam avrebbero volentieri evitato.
Altre motivazioni di tipo squisitamente politico sono anche da tenere in considerazione e in effetti il reperto cominciò immediatamente a subire strani incidenti: il primo accadde il 31 dicembre 2002, durante la mostra organizzata al Royal Ontario Museum (Canada). Al momento di liberare l’ossario dal suo imballo, poco dopo il suo arrivo, i tecnici del museo si accorsero con orrore che presentava alcune crepe di cui una proprio sull’iscrizione che aveva acceso tante controversie.
Un altro fu il tentativo di bloccare Oded Golan, screditandolo come falsario; fu istituito un processo in cui l’IAA (l’Autorità archeologica israeliana) e il Governo israeliano sostenevano la parte dell’accusa, mentre Oded Golan, i suoi collaboratori e l’ossario erano gli accusati. In effetti Golan è stato accusato e condannato per aver falsificato almeno un altro reperto e questo ha contribuito a intorbidare le acque.
Uno dei più incredibili cover-up della storia
Si tratta di un mistero di enorme portata: si rimane colpiti nell’osservare come i media abbiano mandato in onda i questi dodici anni documentari che spiegavano come l’ossario fosse stato ormai smascherato come un falso ben fatto e i falsari ormai prossimi alla condanna. Alcuni di questi filmati sono andati in onda anche in Italia.
Eppure, sempre più studiosi nel corso degli anni, e si tratta dei migliori specialisti del mondo, in seguito a test e indagini scientifiche si sono convinti che l’accusa non aveva basi per sostenere la tesi del falso ben fatto.
Per cercare di capire dove stesse la verità, mi rivolsi ad André Lemaire, il quale mi scrisse:”(…) l’ossario è assolutamente autentico ma ci sono forze politiche e religiose interessate a far sparire il reperto.” Un cover-up di inaudite proporzioni, il cui dramma si è svolto proprio sotto i nostri occhi.
Al momento in cui scrivo, gli indiziati del gruppo di Oded Golan sono stati scagionati, nessuna accusa è ancora stata provata, anzi la corte lascia cadere un’accusa dietro l’altra. Addirittura il giudice ha consigliato l’IAA e il governo israeliano di lasciar cadere il caso in quanto le ultime indagini chimiche hanno verificato che non si tratta di un falso: dopo anni di minuziose analisi l’intera iscrizione è stata verificata autentica.
Il Settimo Sepolcro e l’ Ossario di Giacomo
Il 24 giugno 2009, mentre stava per uscire in Italia il mio libro Il Settimo Sepolcro (Eremon Edizioni, la cui trama ruota proprio intorno al sepolcro di Giacomo), Oded Golan mi invitò a telefonargli in Israele: lo chiamai e mi raccontò con estrema gentilezza come stavano realmente le cose.
Mentre alcuni studiosi sostenevano inizialmente la tesi dell’accusa, ora tutti gli scienziati erano concordi: la patina depositatasi sull’iscrizione era risultata autentica alle analisi di laboratorio. Inoltre si trovò un microorganismo che proliferava sull’iscrizione e sull’ossario, un fungo che impiega almeno cento anni per espandersi di pochi centimetri. Esso ricopriva per una certa parte l’ossario e in particolare se ne rilevò la presenza sopra l’intera iscrizione. Ciò significava che la sua datazione doveva forzatamente risalire a molti secoli fa e lo stesso dicasi per l’intera epigrafe.
Feci a Golan la stessa domanda che posi a suo tempo a Lemaire, come mai ci fosse stato tanto chiasso riguardo all’ossario ed egli mi diede la stessa risposta dell’esperto francese: “(…) Si tratta di una questione molto delicata perché il Vaticano non ammette l’esistenza di fratelli di Gesù.
Inoltre l’IAA e il governo che ne aveva sostenuto le parti avevano sollevato un tale polverone che ora si è creata una vera e propria questione di immagine: la lobby dell’IAA è potentissima e ammettere un errore clamoroso sarebbe stato deleterio per la sua credibilità pubblica. Inoltre diversi studiosi all’inizio avevano paura di mettersi contro la massima autorità per il controllo dei beni archeologici e quindi decisero in un primo momento di assecondarne le valutazioni.
L’ Ossario di Giacomo: un mistero straordinario
Ma ora tutto è chiaro, il processo va avanti e la corte è sempre meno convinta delle tesi iniziali. Il processo potrebbe finire da qui a qualche mese ma IAA e governo israeliano non vogliono perdere la faccia e continuano imperterriti una battaglia che hanno già perso.”
Un mistero straordinario sotto gli occhi di tutti: la verità è uscita allo scoperto chiara e limpida, ma per il grande pubblico, influenzato dalla visione – offerta dai media – totalmente errata della questione, il reperto è rimasto un falso.
Nel romanzo Il Settimo Sepolcro ho cercato di rendere giustizia a questo misfatto denunciando pubblicamente questi eventi. Nel libro, i protagonisti si trovano faccia a faccia con questo caso che ha dell’incredibile proprio perché è assolutamente reale. E incontreranno direttamente i protagonisti di questa vicenda in un mix tra realtà e fiction straordinariamente intrigante.
Per ulteriore informazione, riporto di seguito l’articolo finale dell’autorevole Biblical Archaeology Review.
Il problema fondamentalmente è che rimane una informazione specialistica riservata a un pubblico selezionatissimo e ristretto, quello degli specialisti dell’archeologia biblica, ad ogni modo trovate le ultime news al seguente link della rivista BAR (Bible Archaeology Review): www.biblicalarchaeology.org
La rivista nei molti articoli dedicati al processo del secolo, per un decennio ha sempre sostenuto che l’ Ossario di Giacomo non è un falso: il giudice ha definitivamente chiuso il processo affermando che “il reperto è autentico. La certificazione è ora accertata e fuori da ogni ragionevole dubbio. Oded Golan è prosciolto da ogni accusa.”
I fratelli e le sorelle di Gesù e il dogma della verginità eterna di Maria
Il 1º novembre 1950 papa Pio XII, Eugenio Pacelli, colui che in qualità di rappresentante del Vaticano aveva firmato il Concordato con Hitler (1933), istituì un nuovo dogma che i fedeli avrebbero dovuto accettare come mistero di fede, non dimostrabile, il cosiddetto dogma di Maria semprevergine. Con esso si definiva lo stato di perpetua verginità della Madre di Gesù anche dopo il matrimonio con Giuseppe.
La spiegazione addotta dalle autorità cattoliche per sostenere il dogma di Maria sempre vergine non collima con le testimonianze dei vangeli. Il termine greco utilizzato nei vangeli (anche nelle successive traduzioni dove vi era un originale aramaico/ebraico) non indica mai cugini o parenti in senso generico, come afferma la Chiesa, ma indica fratelli carnali, figli dello stesso utero o madre.
Inoltre Matteo 1:24,25 afferma chiaramente: “Allora Giuseppe si svegliò dal sonno e fece come l’angelo di Jehovah gli aveva detto e portò sua moglie a casa. Ma non ebbe rapporti sessuali con lei finché non diede alla luce un figlio, e gli diede nome Gesù”.
La famiglia di Gesù
I quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli e due delle lettere di Paolo menzionano i “fratelli del Signore”, “il fratello del Signore”, “i suoi fratelli”, “le sue sorelle”, indicando per nome quattro di questi “fratelli”: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda. (Cfr. Mt 12:46; 13:55, 56; Mr 3:31; Lu 8:19; Gv 2:12; At 1:14; 1Co 9:5; Gal 1:19).
Gli studiosi sono in generale d’accordo sul fatto che la famiglia di Gesù fosse composta dai due genitori e da almeno quattro fratelli e due sorelle, tutti figli naturali di Giuseppe e Maria.
Durante il ministero di Gesù “i suoi fratelli non esercitavano fede in lui”, e questo esclude senz’altro che fossero suoi fratelli in senso spirituale. (Gv 7:3-5). La tesi di parte cattolica che la parola fratello abbia il senso più vasto di cugino è corretta dall’evidenza sintattica del greco neotestamentario: quando nei vangeli si parla di fratelli carnali di Gesù si utilizza il greco adelfòs (figlio della stessa madre, carnale), mentre nel caso di parente viene usato il termine syggenòs, o nel caso di cugino anepsiòs. In definitiva non vi è alcun dubbio, Gesù aveva diversi fratelli e sorelle figli di Giuseppe e Maria.
di Pierluigi Tombetti
www.pierluigitombetti.com