Lemure: simbolo dell’attaccamento alla vita in quanto dono per l’anima
Il Lemure è un primate essenzialmente onnivoro che vive nel Madagascar e in alcune piccole isole circostanti. In natura sono presenti circa 100 specie diverse di Lemuri, accumunati tutti da caratteristiche fisiche e comportamentali piuttosto simili.
Il significato e la simbologia del Lemure
Come gli umani, sono dotati di pollice opponibile che gli consente una miglior presa nella scalata sugli alberi, luogo in cui vivono. Inoltre, non presentano artigli ma unghie, con un unghia piuttosto sviluppata nell’indice delle zampe posteriori. Caratterizzato da grandi occhi, il Lemure deve il suo nome proprio a questa peculiarità. Dal latino lemures = spirito della notte, essi sono in grado di avere un’ottima visione notturna e, per questo motivo, venivano associati agli spiriti dei morti.
Il Lemure è il simbolo dell’attaccamento alla vita in quanto dono per l’anima. Il totem di questo animale, invita a godere del bello della vita affrontando la quotidianità con gioia e serenità. Con una visione ampia e a colori, questo straordinario animale, sprona ad avere pensieri positivi che possano riempire di colore la propria esistenza. Trasmette l’importanza della gratitudine nel riconoscere quale preziosa occasione di crescita sia l’esistenza terrena.
Il Lemure nella cultura popolare antica
Gli antichi romani, vedevano in questi piccoli animali, la reincarnazione dei defunti ancora vaganti nel limbo in cerca di pace e serenità. Gli occhi, considerati spiritati, a detta del popolo romano, erano lo specchio di un’anima in pena, privata della vita con una morte violenta o sopraggiunta troppo presto. Perché stessero lontani da tutte le genti, vennero istituite delle feste per celebrare i morti.
Tali festività, chiamate Lemuria, ricorrevano il 9, l’11 e il 13 maggio. Ad istituirle, si narra, fu Romolo dopo aver assassinato suo fratello Remo, temendo che lo spirito di questi potesse perseguitarlo. Durante il rituale, il capo famiglia, era solito gettare alle sue spalle manciate di fave nere, per un totale di nove volte, accompagnando il gesto con frasi propiziatorie.
A cura di Silvia Scanu